Quartiere serancia.La chiesa dei Ss. Andrea e Bartolomeo è uno dei due edifici fulcro del quartiere: chiesa romanica, giace al livello superiore di un complesso di strutture sia etrusche che altomedievali. Queste ultime fanno riferimento ad una basilica cristiana in età giustinianea che testimonia la nuova urbanizzazione del pianoro dopo l’abbandono seguito alla distruzione della città etrusca nel 264 a.C. La continuità storico-urbanistica dell’edificio è strettissima, passando per varie fasi (carolingia, romanica, gotica e poi rinascimentale); e fino alla realizzazione del nuovo polo di S. Costanzo e di S. Maria de episcopatu (oggi corrispondenti al Duomo ed alla sua piazza), la chiesa fu la cattedrale di Orvieto.

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S. Andrea rientra nel gruppo di chiese romane e laziali interessate dall’ondata di quel rinnovamento che si rivitalizza all’inizio del ‘200, e che porta a progettazioni di grande respiro come il duomo di Todi e quello di Viterbo. Coeva è anche la torre dodecagonale, progettazione speculare a quella della badia dei Ss. Severo e Martirio. La chiesa si presenta a tre navate, con colonne di spoglio riadattate e con capitelli cinquecenteschi. Gli archi delle navate nell’intradosso sono arrotondati secondo una sezione a toro: elemento che rappresenta l’immediato precedente architettonico del Duomo iniziato a costruire nel 1290, e del quale S. Andrea anticipa anche la concezione spaziale scandita da arcate ampissime a suggerire un unico grande vano. L’edificio presenta una fase gotica, un presbiterio a tre navate e due campate coperte a crociera, un tentativo di riferirsi alla tipologia della hallenkirche, cioè la chiesa a sala con tre navate di eguale altezza, già sperimentata nel S. Fortunato di Todi, nel S. Domenico e nel Duomo di Perugia.

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L’altro fulcro urbano è la chiesa di S. Maria della Cava. Edificio barocco, costituito da una semplice planimetria quadrata con elementi angolari in curva, di immediata percezione dell’immagine. La copertura è una volta a padiglione, ugualmente smussata e lunettata in corrispondenza degli arconi che delimitano altari e ingresso, attuando una sintesi delle varie forme preferite dall’architettura barocca, cioè la circolare, l’ellittica e la croce greca, in un continuo fluire delle forme. Particolare la forma del lanternino, ben visibile dal lontano, a pianta a croce con raccordi convessi tra i bracci.

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L’impianto della chiesa della Cava fu replicato, in maniera semplificata nella chiesa di S. Maria del Velo (1749), che sorge all’esterno di porta Maggiore, addossandosi lungo la rupe con un corpo centrale aggettante (caratterizzato da due grandi volute) e due ali più arretrate che corrispondono a due cappelle. Il sistema di copertura riprende lo schema del padiglione lunettato di S. Maria della Cava.

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La chiesa è ben visibile da lontano a chi si avvicina alla città dal percorso della Teutonica (cioè da Montefiascone attraverso la salita del Tamburino); e la chiesa, da poco restaurata, ospita la sede del Parco Archeologico.Da qui parte la cosiddetta Dritta (o Salita) del Marchigiano, il primo asse della rinnovata infrastruttura che, insieme alla salita del Tamburino che ne prosegue la direzione, fu un’operazione del Comune orvietano degli ultimi anni dl ‘200. La strada di Petrorio rivestiva infatti un rinnovato interesse viario conseguentemente all’espansione militare e commerciale della signoria comu¬nale verso ovest, anche in relazione al nuovo possesso delle sa¬line intorno ad Orbetello. Nel 1299 se ne stabiliva infatti la sistemazione definitiva (actetur, arenetur et silcetur et splanetur ad cordam) per il tratto compreso tra Petrorio e Sualtulo: la strada, perfettamente dritta, andava dal Ponte di Rio Chiaro al Botto delle Macine su¬per rupibus e tratti del suo lastricato sono ancora perfettamen¬te visibili. In questo comparto occidentale del territorio orvietano più prossimo alla rupe gli ordini monastici si in¬sediano fin dal VI secolo d.C.: è il caso del monastero di San Giorgio, ubicato ad Ovest fuori porta Maggiore ed ora scom¬parso, ma probabilmente localizzabile sul poggio del podere Lazzaretto. Altre chiese documentate nell’XI e nel XII secolo nella stessa zona costituivano dei nuclei intorno ai quali si e¬rano formati cenobi benedettini, che saranno poi sostituiti da insediamenti mendicanti: S. Bernardo (da identificarsi nel fu¬turo convento dei Cappuccini), la chiesa di S. Spirito al Tambu¬rino, e quella di S. Gregorio de sualtulo. L’insediamento femminile francescano delle Clarisse a S. Lorenzo in vineis è documentato per l’anno 1228. Ma la conformazione della chiesa risale al 1560 circa, ed è dovuta a Raffaello da Montelupo, un allievo di Antonio da Sangallo il Giovane. La chiesa presenta una planimetria esternamente quadrata ed internamente ottagonale, con i lati diagonali aperte in nicchie, in modo da occupare gli angoli del quadrato, come accade esattamente nella chiesa di S. Maria di Loreto al Foro Traiano a Roma di Antonio da Sangallo il Giovane, che ne rappresenta quindi il modello. La copertura è a cupola ottagonale, che all’esterno si presenta inglobata in un tiburio prismatico, con tetto piramidale. All’interno, il lato opposto a quello dell’ingresso si approfondisce in un coro coperto da volta a botte, necessario per la presenza di frati. Poco oltre, sempre sulla salita del Tamburino, la chiesa di S. Spirito degli Armeni (1288, con annesso xenodochio o ospedale) è impostata su una navata unica con archi diaframma: il suo portale fu smontato e trasferito, nel 1936, sul fronte del transetto destro della chiesa di S. Domenico, per valorizzarne il nuovo ingresso, ma in modo del tutto incongruo rispetto alla storia e la tipologia dell’edificio. Continuando nella stessa direzione, ci si imbatte nel Sasso Tagliato, cioè la fenditura nel banco vulcanico che mette in comunicazione la selciata del Tamburino con l’altopiano dell’Alfina, e che è ricordato per il passaggio della processione che da Bolsena portava il lino del Miracolo del Corporale ad Orvieto. E’ assai probabile che si debba riconoscere in tale tagliata una struttura d’epoca etrusca che collegava la valle del Paglia col pianoro dell’Alfina. Nei pressi, il Convento della Trinità, sorto originariamente come monastero cistercense, che si articola attorno al chiostro sovrastato da una loggia. La chiesa risale al XVI secolo. Nella chiesa e in alcuni vani del convento sono presenti affreschi attribuiti al Pastura, tra cui una Ultima Cena. Su questa direttrice sorgono Sugano e Canonica.

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Sugano fin dal XII secolo assunse importanza come passaggio delle vie per Bolsena e l’altopiano dell’Alfina: consta di un borgo impostato su due strade parallele, e di una zona sorta attorno alla parrocchiale dedicata a S. Lucia, di cui è interessante la facciata di primo ‘800, ma ad imitazione di un prospetto rinascimentale con due ordini di paraste sovrapposti e timpano di coronamento di uguale larghezza: si rifà agli ideali palladiani che ebbero in quel periodo, anche col Valadier proprio ad Orvieto, grande successo. Il Castello di S. Quirico, o Villa S.Quirico, citata nel Catasto del 1292 come Villa S. Clerici all’interno del piviere di San Donato, è una interessantissima esercitazione in stile, quindi di impostazione romantico-mediovalistica, di Carlo Zampi.

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Nella vicina Canonica (dipendenza dei canonici del Duomo) nella chiesa di S. Maria notevoli gli affreschi della zona absidale, opere dei pittori che lavorano in Duomo, alla fine del ‘400, insieme al Pinturicchio nella zona destra della Tribuna, e che appunto erano ospitati presso i canonici del Duomo. Tra le varie mani, è stata riconosciuta anche quella del Pastura.

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Il toponimo di Torre San Severo è citato per la prima volta in un atto del 1462, quando il feudo passò alla Badia dei SS. Severo e Martirio. È imponente, come caput della struttura urbana, il cosiddetto Palazzone, struttura tardo-rinascimentale che ingloba alcune fortificazioni nel braccio Ovest, risalenti alla prima metà del ‘300, dove è riconoscibile un grande vano quadrato, probabilmente l’antica struttura di una grande torre. Alla fine del XV secolo la struttura del torrione perse la sua antica funzione di fortificazione per diventare un distaccamento dell’Abbazia dei SS. Severo e Martirio e per assumere i caratteri di una abitazione. Il torrione venne infatti abbassato e venne ampliato attorno ad uno spazio centrale. Girolamo Simoncelli, eletto cardinale nel 1554, si fece assegnare il palazzo dalla Camera Apostolica per ristrutturarlo a residenza estiva con una pianta a tre lati di un quadrato, con ampia scalinata. Un ciclo di affreschi di Cesare Nebbia decora una sala dedicata ai temi astrali del proprietario; e per altri lavori furono chiamati gli stuccatori, i pittori e i decoratori impegnati in quegli anni nei lavori del duomo di Orvieto (decorazione delle navate laterali, distrutte nel 1890). Una nuova sistemazione del palazzo fu tentata da Francesco Maria Fedeli durante il XVII sec.; la struttura venne compromessa dal terremoto del 1695, detto di Bagnoregio, e subì altri danni durante l’ultima guerra.

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Un’altra direttrice che innerva questo quadrante del contado da riferirsi al quartiere Serancia conduce a Bagnoregio, toccando le frazioni orvietane di Canale e Botto. Ma all’inizio di questo percorso va ricordata la necropoli e l’area sacra di Cannicella. Anche il versante meridionale della rupe di Orvieto ha restituito una numerosa serie di tombe di epoca etrusca, costruite con le medesime caratteristiche architettoniche di quelle della necropoli di Crocifisso del Tufo: è presente un nucleo di tombe a camera, scavate nel 1977 e oggi in vista, protette da una tettoia in legno; ma già nel 1884 fu individuato anche un tratto di muro di terrazzamento realizzato in grossi blocchi di tufo, una struttura relativa ad un’area sacra nella quale si rinvenne uno dei reperti più significativi per l’area orvietana: la cosiddetta Venere rappresentante una figura femminile nuda. La direttrice sfiora poi la Badia dei Ss. Severo e Martirio che consta di due parti distinte, una ascrivibile ai Benedettini e l’altra ai Premonstratensi, benedettini riformati che vi si insediarono nel 1226. Il nucleo più antico si affaccia sulla valle e risale alla seconda metà del secolo XII: la chiesa presenta l’abside rivolta verso Ovest, ed è a navata unica di tre campate, coperte da volte a vela nel ‘500 impostate su archi-diaframma trasversali romanici. Sui due fianchi è presente una decorazione ad archetti lombardi, che permette di datare la chiesa alla prima metà del sec. XII.

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L’atrio originario a due piani, poi foderato con una nuova struttura il cui elemento più evidente è il portale a forte strombatura rivolto verso il cortile, presenta una absidiola pensile a giorno, aperta in alto sulla facciata della chiesa. Era una cappella riservata all’abate che dimorava nel livello superiore dell’atrio, e da dove lo stesso abate, attraverso una finestra, poteva assistere alle funzioni religiose all’interno della chiesa. L’absidiola pensile ebbe un certo successo a Orvieto, e fu replicata nelle chiese di S. Stefano, di S. Mustiola a via Pecorelli e di S. Bartolomeo nell’omonima frazione del contado orientale. Il pavimento cosmatesco della chiesa è anch’esso riferibile al XII secolo, come del resto la torre dodecagonale, coeva a quella urbana di S. Andrea, e che presenta le stesse caratteristiche. Per quanto riguarda invece la fase da riferirsi ai Premonstratensi, la si ravvisa soprattutto nel Palazzo Abbaziale, caratterizzato da un porticato aperto in larghe arcate. Particolare ricorrente nelle finestre e nelle cornici orizzontali è l’ornamentazione a scacchiera ricavata nei conci di tufo con la sega e lo scalpello, e che verrà ripresa nel Palazzo del Popolo e nella zona dei palazzi papali più prossima all’abside del Duomo. La fase premonstratense è caratterizzata dall’impiego generalizzato dell’arco gotico e della volta a botte a sezione acuta, che ritroviamo anche nel costruito accanto alla torre. Lungo la strada Bagnorense, il centro di Canale è citato nei Catasti medievali come Villa Canale all’interno del piviere di S. Fortunato: la chiesa dell’Annunciazione, del primo ‘600, è interessante per la sua decorazione di facciata con fastigio barocco e per la loggia aperta in arcate sul lato destro, segni appunto di qualificazione architettonica su un percorso stradale. Con una piccola deviazione si raggiunge Botto, un castello trecentesco ove la chiesa di S. Caterina presenta affreschi cinquecentesci.

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